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Darwin in Vaticano

Scritto da Giorgio Manzi   

Mercoledì 18 Marzo 2009

Il convegno «Biological Evolution – Facts and Theories. A critical appraisal 150 years after ‘The Origin of Species’» alla Pontificia Università Gregoriana (Roma, 3-7 marzo 2009): riflessioni di un paleo-antropologo


E’ stato un incontro fra scienza, filosofia e teologia, organizzato nell’ambito del programma STOQ (Science, Theology, and the Ontological Quest) con il patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura. L’impostazione del convegno è stata indicata da Mons. Gianfranco Ravasi (presidente dello stesso Consiglio), intervenuto nella sessione inaugurale, quando ha parlato di un dialogo da intraprendere “incrociando gli sguardi”.
Le premesse tuttavia non erano delle migliori. Negli ultimi tempi, infatti, il rapporto fra scienza e religione (cattolica), sembrava aver preso una piega inaccettabile. In particolare, l’attuale Papa (tanto per citare la voce più autorevole) era sembrato voler sbilanciare questo rapporto a favore di una Ragione, quella della fede, superiore alla ragione stessa, quella rappresentata dal libero pensiero scientifico. Un rapporto che io immagino come traversine poste fra due binari, paralleli e indipendenti tra loro, sembrava venisse stravolto dal voler mettere un binario sopra l’altro, in una soverchiante posizione di “controllo” e “guida” da parte della fede sul pensiero scientifico, della teologia sulla scienza. Il comprensibile anelito antropologico di dare un senso soprannaturale alla realtà, una spiegazione trascendente a ciò che non sappiamo o che non possiamo spiegare, sarebbe dunque il legittimo amministratore dell’approccio razionale, illuministico direi, che abbiamo a disposizione per comprendere la realtà stessa...?! Qualcuno potrebbe pensare che si stia tentando di rivaleggiare con forme di teocrazia che non dovrebbero essere proprie del pensiero occidentale e, nello specifico, di una religione che si rifà all’accettazione dell’altro e a un distacco dalle cose terrene, implicito nella parole stesse del Cristo: “date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio”.
Tutto questo nel contesto italiano, in cui un Ministro dell’Istruzione aveva tentato pochi anni fa di abolire l’insegnamento dell’evoluzione biologica dalle scuole elementari e medie, allineandosi in qualche modo al conservatorismo dei theocon americani, dove il fenomeno ascientifico del “creazionismo” o del “disegno intelligente” sono di casa. Non teneva conto, quel Ministro, che intorno al fenomeno dell’evoluzione e alla teoria che lo spiega in base al binomio “caso e necessità” ruota l’intera biologia moderna, con tutti i suoi formidabili progressi degli ultimi decenni. Come scrisse uno dei padri della teoria sintetica fondata sulla darwiniana selezione naturale, il grande genetista Theodosius Dobzhansky: “nulla in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione”. Questa è l’unica teoria dell’evoluzione sostenuta da dati scientifici (scusate se è poco!): non c’è niente di più propedeutico, dunque, all’insegnamento delle scienze naturali, sopratutto per chi è all’inizio di un percorso formativo come sono i bambini della scuola primaria e i ragazzi delle medie.
Come se non bastasse, proprio mentre il convegno iniziava i suoi lavori e il dialogo fra scienza, filosofia e teologia poteva comunque essere quantomeno ipotizzato e messo alla prova, usciva nelle edicole un numero speciale di “Micromega”. Si tratta di un Almanacco di Scienze interamente dedicato alla teoria dell’evoluzione. Porta infatti in copertina quattro riquadri con elaborazioni del medesimo ritratto di Charles Darwin, trattate cromaticamente un po’ alla Andy Warhol e ispirate alla grafica dell’esposizione sulla vita e le opere del grande naturalista attualmente allestita al Palazzo delle Esposizioni di Roma e prevista poi a Milano e altrove. Il fascicolo si apre con l’intervento di uno dei nostri più noti e preparati filosofi della scienza, particolarmente versato per i temi dell’evoluzionismo: Telmo Pievani, uno dei grandi assenti al convegno della Gregoriana. Pievani commenta qui in anteprima il titolo, le tematiche e le possibili finalità dello stesso convegno, facendo proprie le parole dello stesso Darwin, che così motivava il proprio diniego a partecipare a un incontro organizzato nel 1878 dall’arcivescovo di Canterbury con scienziati credenti e non credenti posti di fronte al tema del possibile incontro fra scienza e religione: non mi riesce proprio di “vedere  quale beneficio possa mai derivarne”.
Un processo alle intenzioni? Forse... Una forma di integralismo “di ritorno”, contrapposto a un altro integralismo di matrice religiosa? Chissà...
Anch’io, d’altra parte, quando più di una anno fa avevo ricevuto l’invito a tenere al congresso una relazione sulla storia della ricerca nel campo di cui mi occupo – l’evoluzione umana – ero rimasto perplesso e indeciso se accettare o meno. Avevo avuto la sensazione che, in questo scenario, l’invito fosse (come dire?) di facciata: quasi un’operazione di marketing, finalizzata a imbarcare alcuni nomi noti della comunità scientifica internazionale, per legittimare o forse, più banalmente, per mascherare un non condivisibile sbilanciamento dei rapporti fra scienza e fede. Poi avevo deciso di accettare. Mi ero tranquillizzato dando un’occhiata alla qualità dei colleghi che pure avevano accolto l’invito (vedi al sito http://www.evolution-rome2009.net/). Poi avevo anche pensato (un po’ alla Nanni Moretti di Ecce Bombo): meglio andare che non andare, meglio ascoltare, esprimere chiaramente il proprio pensiero e riportare con forza le evidenze della ricerca sull’evoluzione umana, assolvendo così a un compito che in qualche modo discende direttamente dal mio lavoro, che non avrebbe senso se le nostre scoperte non venissero poi divulgate.
Il convegno ora è finito. Sono stati cinque giorni intensi e per certi versi impegnativi. Abbiamo avuto modo di ascoltare relazioni assai interessanti e abbiamo incontrato figure di primo piano nei campi della biologia, della filosofia e della teologia. Si sono aperti nuovi orizzonti di conoscenza o, quanto meno, di curiosità per territori euristici che (almeno a me, lo confesso) erano in precedenza quasi sconosciuti. Insomma, abbiamo “incrociato gli sguardi” come voleva Mons. Ravasi e questo può certamente essere l’inizio di un dialogo da sviluppare in futuro. Il mio commento è perciò alla fine positivo e, nell’insieme, sono contento di aver partecipato. Ma c’è un punto su cui mi vorrei soffermare per una riflessione più critica.
Proprio verso la metà dei lavori, c’è stato un momento di snodo fra le sessioni scientifiche dei primi giorni e quelle filosofiche e teologiche degli ultimi. Qui è emersa la figura di Pierre Teilhard de Chardin (1881–1955). Teilhard era un gesuita, che ricordiamo in primo luogo per le sue attività di paleontologo: partecipò a importanti scoperte, come quella dell’uomo di Pechino, e diede contributi significativi di sintesi sul fenomeno che, con termine evidentemente finalistico, viene detto “omininazione”. Ma è anche noto per i suoi contributi filosofici e teologi. Tuttavia, la sua opera principale (Le Phénomène Humain) fu pubblicata solo dopo la morte per obbedienza ai superiori, che peraltro si videro recapitare un decreto del Sant'Uffizio che imponeva di ritirare le opere del gesuita da tutte le biblioteche. Aveva ipotizzato una “noosfera” come il luogo trascendente di una specie di coscienza collettiva che dovrebbe scaturire dall'interazione fra le menti umane convergenti verso il “punto omega”, ipotizzato a sua volta come massimo livello di complessità verso il quale l'universo tenderebbe nella sua evoluzione. Del tipo, se vogliamo scherzarci sopra recuperando una vecchia macchietta di Corrado Guzzanti: “la risposta è dentro di te ed è... sbagliata”.
Teilhard si era convinto di ciò osservando la crescente complessità degli organismi e dal parallelismo di distinte linee evolutive, che a sua volta dimostrerebbe che la tendenza vero il punto omega sarebbe propria di un fenomeno sostanzialmente teleologico. Tutto questo, ovviamente, può avere altre spiegazioni in chiave più propriamente scientifica (di tipo ecologico, ad esempio), ma portò il gesuita a costruire un castello di speculazioni che lo allontanarono sempre più dai dati oggettivi, con un risultato decisamente opinabile. Al tempo stesso, paradossalmente, comportò un severo monito da parte delle gerarchie ecclesiastiche (salvo postume riabilitazioni), che vedevano nel suo pensiero le tracce di un panteismo evoluzionistico evidentemente intollerabile per la Chiesa di allora.
Mi sembra che ci sia qualcosa da imparare dalla figura controversa di Teilhard de Chardin e dalla sua storia. La mia riflessione è proprio questa, come ho avuto modo di scrivere anche sulle pagine de “Il Riformista” pochi giorni fa (11 marzo 2009). Questa mi sembra infatti la morale più evidente che si può trarre dall’esperienza fatta al convegno. E’ vero cioè che ci sono diverse forme di conoscenza: la scienza, la filosofia, la teologia, ma non solo (anche l’arte? perchè no? ecc.). Dobbiamo però tenere ben presente che ognuna di esse ha i suoi propri metodi e, sopratutto, le sue peculiari finalità. Metodi è finalità che sono da conoscere appropriatamente e da rispettare con piena reciprocità, come sentivo dire una volta da Orlando Franceschelli (un altro dei grandi assenti al convegno). Solo allora possiamo intraprendere un vero percorso di ascolto  che possa portarci a “incrociare gli sguardi” o, magari, ad accogliere nel pensiero teologico le conoscenze scientifiche e, fra esse, la teoria dell’evoluzione di darwiniana memoria. Stiamo però ben attenti all’esempio, non particolarmente felice, del gesuita paleontologo, dei suoi slanci filosofici e delle sue urgenze teologiche e teleologiche. Teilhard, quasi allegoricamente e forse anche un po’ ironicamente, rappresenta (riunite in una sola persona) le tre “anime” del convegno della Gregoriana che si è appena concluso.
E il dialogo? Staremo a vedere come... evolve.

Giorgio Manzi
Paleoantropologo alla SAPIENZA, Università di Roma